La documentazione (sia iconografica che testuale) sulle tradizionali ballerine egiziane è piuttosto confusa e, sovente, si sovrappongono e si confondono due distinte categorie di danzatrici, ovvero le almee e le ghawazee. Le prime sono donne colte e di buona famiglia, le seconde, invece, sono interpreti popolari che appartengono ad una tribù nomade.
Mentre le almee conducono una vita molto riservata, le ghawazee sono ballerine di strada, che, talora, finiscono per offrire ai propri spettatori anche altri tipi di servigi. Nei dipinti di Jean-Leon Gerome, ad esempio, i titoli “The Dance of the Almeh” e “Almeh with pipe” risultano ingannevoli; il pittore, infatti, raffigura delle danzatrici orientali piuttosto disinibite che indossano abiti succinti e che si esibiscono di fronte ad un pubblico maschile.
Si tratta di elementi che rimandano senza alcun’ombra di dubbio alle ghawazee, ben differenti dalle più raffinate almee, che riservano le proprie performance ad un pubblico esclusivamente femminile. Anche il teologo monzese Giacinto Amati (1778-1850), in un suo testo in cui descrive le almee in realtà fa riferimento ad alcune caratteristiche tipiche delle ghawazee:
“Queste singolarissime donne del Levante, sebbene sieno ricchissime, e sieno molto ben pagate, sono comunemente riputate donne senza credito, tenute in conto di prostitute, e come tali realmente considerate. Sortendo però esse dai recinti ove hanno tenuto le loro rappresentazioni a faccia e petto scoperto, prendono anch’esse il solito velo col quale, giusta il costume della nazione, copresi il viso; oltre il gran drappo che scende dalla testa ed involge quasi tutta la persona, secondo le costumanze e leggi islamitiche”.
Le attuali danzatrici del ventre hanno saputo fondere sapientemente le caratteristiche di entrambe le loro ave: dalle almee hanno ereditato l’eleganza e la disciplina dei movimenti, dalle ghawazee l’esuberanza e l’improvvisazione.
Storia delle almee egiziane
Il termine almea deriva dall’arabo Almah (al plurale Awalim); la radice “alm” indica sapere, conoscenza; pertanto almea può essere tradotto come donna saggia, colta, erudita. Le Almee egiziane, le cui prime testimonianze risalgono al IX secolo all’epoca della dinastia degli Abassidi, erano delle ballerine e musiciste professioniste che si esibivano negli harem delle residenze dei ricchi esclusivamente dinanzi ad un pubblico femminile, in quanto non era loro diversamente consentito dalle usanze islamiche dei tempi.
In ogni casa egiziana che si rispettava, infatti, qualsiasi celebrazione (matrimoni, nascite, funerali) non poteva essere considerata tale se essa non prevedeva lo spettacolo delle belle almee: esse, oltre a ballare, erano delle straordinarie cantanti (perlopiù interpretavano canzoni nazionali) e delle brave attrici in grado di improvvisare e/o di declamare poesie e versi celebri. Come emerge, infatti, dalla rigorosa ricostruzione effettuata da Wendy Bonaventura nel suo celebre libro : “Il serpente e la sfinge” le almee, all’epoca di Harun al Rashid (IX secolo), erano solo delle brave danzatrici, ma non erano sufficientemente istruite in campo musicale; poiché a quei tempi l’Egitto stava vivendo la sua età d’oro della musica, si decise di estendere loro l’apprendimento dei rudimenti del canto: da quel momento in poi le almee divennero artiste complete e poliedriche.
Generalmente le esibizioni delle almee venivano accompagnate da diversi strumenti musicali e da un tamburo: malgrado la lingua araba, come è noto, sia caratterizzata da suoni gutturali e laringei, la voce delle almee risultava dolce e melodiosa. Si trattava, in altri termini, di artiste complete e versatili, in grado di rivestire più ruoli nel corso di una stessa performance.
Giacinto Amati rifacendosi ad un libro scritto dall’illustre viaggiatore francese Mr Cailot, nel suo testo “Le ricerche storico-critico-scientifiche sulle origini, scoperte, invenzioni e perfezionamenti fatti nelle lettere, nelle arti e nelle scienze”, scrive:
“Tutti gli arem sono frequentati dalle almee, anzi esse sono le istitutrici [che] insegnano la danza coi modi più affettati e seducenti […] la loro presenza è tanto più aggradita, in quanto che impiegano ogni studio onde parlar con dolcezza e grazia […] La natura sola è maestra del lor canto, ma nel patetico sono esse più inclinate, e più che nell’allegro vi si fanno distinguere”.
Le almee erano, dunque, donne colte, istruite e raffinate che studiavano scrupolosamente tutte le discipline artistiche (canto, danza e recitazione) più in voga in Egitto. Va detto, inoltre, che le almee provenivano dai ceti sociali più elevati e che erano generalmente donne particolarmente fascinose e avvenenti; esse, tuttavia, conducevano una vita morigerata e sobria: non uscivano mai prive di velo, al fine di non essere oggetto degli sguardi maschili e, per raggiungere gli harem presso cui dovevano esibirsi, venivano sempre scortate dagli eunuchi, ovvero gli uomini privi delle facoltà virili.
La campagna militare di Napoleone Bonaparte
Quando le truppe del generale Napoleone Bonaparte giunsero in Egitto (1798) le almee abbandonarono il Cairo, in quanto non volevano né potevano esibirsi dinanzi ad un pubblico di invasori, e per giunta composto da soli uomini. Ritornarono nella capitale soltanto quando l’esercito napoleonico, non avendo riscosso il successo sperato, batté in ritirata.
I viaggiatori europei in Egitto
I viaggiatori europei che per motivi commerciali o culturali si recarono in Egitto nel diciannovesimo secolo ebbero modo di assistere agli spettacoli delle danzatrici del ventre. Essi, spesso, confusero le almee con le ghawazee e viceversa, riportando questo errore nei propri reportage di viaggio. In tal modo furono tramandate ai posteri informazioni inesatte ed equivoche.
Le almee nel XX secolo
Nel corso del 900 le almee continuarono ad esibirsi dinanzi ad un pubblico esclusivamente femminile, soprattutto in occasione di celebrazioni private di benestanti famiglie borghesi. Intorno agli anni venti, in cui l’Egitto sperimentò numerosi cambiamenti culturali, anche la musica conobbe nuove metodologie e nuovi impulsi, che le almee immediatamente accolsero per la propria danza.
In particolare esse cominciarono a realizzare coreografie sulla cosiddetta struttura Baladi (letteralmente “del mio paese”), caratterizzato da una forte connotazione nazionalista e tradizionalista. Si tratta di una danza popolare urbana destinata a caratterizzare per sempre l’identità della danza del ventre.
Quando, tuttavia, alla fine degli anni quaranta cominciò a cadere in disuso l’abitudine di esibirsi di fronte ad un pubblico esclusivamente femminile, le almee finirono con lo sparire. Solo in epoca moderna la loro arte è stata riscoperta e rivisitata da numerose interpreti della danza orientale.