Per musica araba si intende la musica appartenente alle aree in cui la lingua madre è l’arabo. La storia della musica araba inizia sin dai tempi della Jahiliyya (termine che significa “ignoranza” e si riferisce al periodo antecedente la venuta di Maometto), che vanno fino al 622 D.C., anno dell’Egira (l’allontanamento di Maometto dalla Mecca a Medina) anno in cui inizia l’epoca musulmana. Il Corano non prende una vera e propria posizione riguardo la musica anche se lascia intendere che potrebbe essere considerata come negativa.
Così la musica viene intesa in modi diversi a seconda delle interpretazioni delle parole del Profeta. Il Sufi e teologo Abu Hamid at-Tusi al-Ghazali (1058-1111), una delle massime autorità dell’Islam sunnita, scrive in “L’alchemia della felicità”: “L’Altissimo ha strutturato il cuore dell’uomo in modo tale che esso contenga un fuoco nascosto che viene ridestato dalla musica e dall’armonia, e che è in grado di condurre l’uomo di là da se stesso, nell’estasi….
Gli effetti della musica e della danza sono più o meno profondi in proporzione alla misura in cui coloro su cui esse agiscono sono più o meno inclini al movimento: fanno divampare il fuoco che è assopito nel cuore, a prescindere dal fatto che si tratti di un fuoco sensuale, oppure divino e spirituale….
…..la musica e la danza non instillano nel cuore qualcosa di esterno, ma si limitano a far divampare emozioni che –pur se assopite- sono già presenti in esso. Perciò, se un uomo ha nel cuore quell’amore di Dio che è prescritto dalla legge, è perfettamente lecito, anzi e meritorio, che egli si dedichi a quelle attività che contribuiscono ad incrementarlo. Al contrario, se ha il cuore pieno di desideri dominati dai sensi, la musica e la danza non faranno che incrementarli, e nel suo caso sono pertanto proibite. Quanto a colui che ascolta la musica o assiste alla danza a scopo di mero intrattenimento, nel suo caso musica e danza non sono né lecite né proibite, ma semplicemente indifferenti…”
Sotto le dinastie degli Omayyadi e degli Abbasidi, negli anni compresi tra la fine del 600 e la metà del 1200, la musica ha un grande sviluppo e le corti di Damasco e Baghdad si popolano di musicisti. In seguito, con la conquista dell’Africa del Nord e successivamente della Spagna, la musica araba si diffonde portando con sé idiomi e strumenti che appartenevano anche alla società persiana. In Europa vi era infatti una vasta gamma di strumenti nati nel Vicino Oriente alcuni dei quali bizantini, ma soprattutto islamici. Molto nota è la storia di Ziryab (Iraq 789 – Cordova 857), un musicista curdo musulmano di al-Andalus, scacciato per invidia dal suo maestro Ibrahim al-Mawsili (Kufa 742 – Baghdad 804) un grande compositore ed esecutore presso i primi califfi abbasidi, che aveva fondato un’importante scuola di musica e canto. Ziryab, si rifugiò a Cordova dove diffuse il suo credo artistico e penetrò a tal punto nella cultura spagnola che ancora oggi viene considerato un importante punto di riferimento: il canto jondo, il flamenco, il canto andaluso, che poi hanno coinvolto tutta l’area marocchina, provengono da lui e sono i discendenti diretti della musica araba.
Si può dividere il patrimonio della musica araba in tre filoni principali, o meglio in tre scuole principali:
- la scuola magrebina (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia)
- la scuola siro-egiziana (Egitto, Palestina, Giordania, Libano e Siria)
- la scuola irachena (Iraq, Arabia Saudita, Bahrein, E.A.U., Kuwait, Qatar, Oman e, con particolari caratteristiche, Yemen).
- E ne potremmo aggiungere una quarta definibile come arabo-africana (Mauritania e Sudan).
Nella musica araba non esistono le note costruite su precise lunghezze d’onda stabilite a priori, gli intervalli tra le note sono irrazionali ed influenzati dalla creatività del musicista. Il musicista può improvvisare ma solo all’interno di una struttura tonale ben definita o Maqam, un fenomeno musicale entro il quale si muove la composizione e che porta con sé uno specifico contenuto emotivo (sono 140 i Maqam nella musica araba, divisi in 9 famiglie principali, quindi secondo e la teoria musicale classica del Medio Oriente, i Maqam principali che danno il nome alle 9 famiglie sono appunto 9; ognuno ha una sua specificità e una specifica espressività melodica). Quindi possiamo dire che la musica araba è modale e monodica perché tutti gli strumenti producono la stessa melodia insieme, ma vi è un’eccezione nel Taqsim, un’improvvisazione strumentale di un solo strumento, se parliamo di Taqsim non misurato, che esplora le infinite sfumature di un maqam, rispettando un principio progressivo di utilizzazione dei gradi, che mette in evidenza quelle note che definiscono la peculiarità del maqam. Il Taqsim può essere anche misurato se un’altra melodia viene a sostenere il solista ricordandogli la nota fondamentale. Il Taqsim lo troviamo tra le composizioni strumentali e l’entrata del cantante oppure può essere usato per dare un certo respiro al canto. La musica araba dunque, è caratterizzata dalla modalità e dall’assenza del sistema temperato, si basa sull’improvvisazione ed è di fondamentale importanza la comunicazione tra gli artisti, il bagaglio di esperienza e la sensibilità dei musicisti.
A cura di Arianna Mecozzi